I Frati Cappuccini

A Mesagne i Cappuccini sono ricordati con affetto, tramandatoci nel tempo dai nostri avi, ed è ricordato con affetto anche il luogo dove dimorarono. I Frati Minori Cappuccini nascono in seguito ad una divisione avvenuta nell’Osservanza, una famiglia francescana riformata nel senso di ritorno alla regola e allo spirito dettati dal santo di Assisi. Questa Osservanza nasce con il tentativo di fare chiarezza nella confusione ideologica, avvertita pure dai francescani, causata da profondi perturbamenti in seno alla Chiesa. Basti pensare allo scisma d’Occidente, quando la cristianità ebbe addirittura tre papi e i Frati minori ebbero tre ministri generali; oppure alla dilagante corruzione del clero. Fu su questa scia di maggiore chiarezza, non meno che di una esigenza di ulteriore perfezione evangelica che l’Osservanza si divise in altre correnti di riforma, una di queste fu quella dei Cappuccini, che, già a partire dal 1525, si separò dall’ordine ed ebbe riconoscimento ufficiale da papa Clemente VII nel 1528. Fu questo papa che ne approvò le costituzioni e conferì ai Cappuccini il titolo canonico di Frati minori della vita eremitica. La povertà fu il segno distintivo dei Cappuccini, che fecero molto di più: scelsero di stare tra la povera gente, poveri tra poveri, non si vestirono di povertà, ma la condivisero. In quel tempo, anche se in pieno Rinascimento, i segni di distinzione tra le classi sociali erano troppo evidenti e i poveri, i reietti, gli emarginati, vivevano separati, ai margini della società, allontanati dal ciclo economico e culturale. Può meravigliare la scelta compiuta da alcuni umili fraticelli in piena civiltà rinascimentale: ritornare alla primitività francescana. In realtà è culturalmente e storicamente giustificabile: fu un movimento di reazione alla riforma protestante non meno che alla corruzione della Chiesa. I Frati minori testimoniarono questa loro reazione soprattutto con l’esempio, conducendo una vita austera, pienamente aderente al Vangelo.

I Cappuccini, così chiamati per il loro cappuccio, più lungo e largo del consueto, guidati da Matteo Bassi da Fossombrone scelsero la rigida osservanza della regola francescana e abbandonarono i conventi, per loro troppo comodi, e si appartarono in luoghi isolati, in antichi romitori dove era possibile, lontani dal mondo, vivere in povertà e comunione con Dio. Iniziarono, così, a partire dal 1529, a diffondere in ogni luogo una stretta osservanza della regola francescana. Si diedero una costituzione scritta nel 1536. I Cappuccini, nonostante la rigidità della loro regola o forse proprio per questa, aumentarono di numero e sempre più conventi erano fondati. Alla fine del Cinquecento l’ordine poteva disporre di oltre 7.000 frati divisi in 30 province e ben 644 conventi. Un tale successo fu dovuto ad una serie di fattori: l’esempio e la predicazione di frati dotati di grande carisma e in odore di santità; la stretta osservanza della regola; l’entusiasmo e la gioia che ponevano gli umili fraticelli nel propagare il Vangelo, niente a che vedere con la tristezza e la tragicità quasi macabra di tanto clero e di quasi tutti gli altri ordini monastici. I Cappuccini vivevano in completa povertà, al punto che poco o niente sappiamo dei primi tempi di quest’ordine, semplicemente perché nulla documentarono. L’esigenza di tramandare la loro vita e le gesta di cui si rendevano o si erano resi protagonisti, risale solo alla fine del Cinquecento. I Cappuccini seguivano regole ferree anche nella costruzione dei loro conventi che dovevano essere semplici e severi, privi di qualunque comodità. L’unica comodità era un camino attorno al quale ritrovarsi d’inverno. Il convento non doveva avere dispensa, cantina, stalla o qualunque altra comodità; né i frati potevano possedere animali, beni di qualunque genere. Solo un piccolo orto era permesso. I frati cappuccini erano soliti trascorrere il loro tempo studiando, pregando e lavorando. Ogni convento doveva avere una piccola chiesa, ad una sola navata. Tutto, insomma, doveva essere improntato ad umiltà e povertà. Poco cibo, era vietato ricevere carne, uova o formaggio. La regola era rigida e solo i frati malati ed anziani ne erano dispensati. La cella di un convento cappuccino era di una semplicità e severità disarmanti: giusto lo spazio per un letto, consistente, in principio, di una stuoia di giunchi stesa sul pavimento. Nella cella null’altro, eccetto un semplice asse di legno per riporvi i pochi e miseri oggetti personali e gli immancabili libri. La finestra era piccola e senza vetro; d’inverno era chiusa con un semplice panno. Il frugale pasto era consumato in comune nel refettorio: attorno a tavoli e su ruvide panche sedevano i cappuccini lo stretto tempo necessario a consumare il cibo, quando c’era.

I primi conventi edificati in Puglia furono quello di Gravina e, nel 1532, quello di Lecce. Successivamente, nel 1538, fu fondato quello di S. Giovanni Rotondo. La fondazione di questi conventi fu dovuta all’opera tenace di due frati: frate Tullio da Potenza e frate Giacomo da Molfetta che furono gli artefici sia della fondazione di tanti conventi che della diffusione del nuovo ordine monastico. Nel 1539 furono costruiti i conventi di Taranto e Mesagne. Negli anni seguenti altri conventi furono costruiti in tutta la regione: da Molfetta a Galatina, da Grottaglie a Bitonto, da Laterza a Bari e così via. La Terra d’Otranto, insieme alla Terra di Bari e alla Basilicata formava la provincia monastica di San Girolamo. Ma tale fu l’adesione di nuovi frati e la crescita dei conventi che nel 1560 tale provincia fu scissa: la Basilicata restava provincia di San Girolamo, mentre la Terra di Bari e la Terra d’Otranto divennero provincia di San Niccolò. Ma tanti erano i conventi che appena trent’anni dopo, nel 1590, la provincia di San Niccolò fu divisa e fu creata una nuova provincia, quella di Santa Maria in finibus Terrae o di Otranto. La divisione amministrativa dell’ordine cappuccino comprendeva, nel Regno di Napoli, ben otto province, autonome ed autosufficienti. Nella nostra provincia di Terra d’Otranto i conventi più importanti furono quello di Francavilla Fontana e di Galatina. Complessivamente i conventi della nostra provincia ammontavano, nel 1596, a 25, sotto la responsabilità del frate provinciale Francesco da Mesagne.  L’esigenza di una profonda riforma della Chiesa in senso evangelico era sentita anche nel Regno di Napoli e, in particolare, in Terra d’Otranto, dove non ci fu nessuna ribellione e nessuna aperta opposizione alla Chiesa cattolica. C’era però molto malcontento sia negli spiriti alti e colti che tra la gente comune, per la rilassatezza dei costumi della Chiesa, degli ordini monastici e del clero regolare. Ma nel Salento non si formò nessun movimento armato e nessuna aperta opposizione.  Nei cento anni a cavallo del 1500, Mesagne visse un periodo di ripresa economica e sociale, attestato, per esempio dal numero dei fuochi che passò dai 277 del 1447 ai 772 del 1545, cioè, con un rapporto di 5 persone per fuoco, come si è soliti fare, gli abitanti della nostra Mesagne erano quasi 1.500 alla metà del XV secolo per divenire quasi 4.000 a metà del XVI secolo. Una crescita così notevole va spiegata. In questo periodo avvengono alcuni fatti storici di grande importanza.

La dinastia aragonese scompare e il Mezzogiorno diviene provincia spagnola. La Terra d’Otranto, che aveva vissuto un periodo tutto sommato buono sotto gli Orsini del Balzo, pur in presenza di guerre, congiure e di intrighi dei baroni feudali contro il potere centrale e tra di loro, vivrà di luce riflessa e non sarà più artefice del proprio destino. Dipende ormai dagli Spagnoli, i quali considereranno il Meridione una colonia come tante altre. Dopo Carlo V gli effetti di una politica di rapina, la lontananza del potere centrale, avranno effetti deleteri per tutto il Mezzogiorno. Inoltre il territorio salentino, estremo lembo orientale dell’impero spagnolo, era in continuo pericolo di attacco saraceno, soggetto a frequenti immigrazioni di popoli diversi, coronei, albanesi, greci, liparoti, obbligato a sopportare una classe dirigente miope e provinciale, chiusa a riccio nella ostinata difesa dei suoi antichi interessi.  In rapporto al secolo precedente, la Terra d’Otranto viveva tempi di un grigiore terribile, anche sul piano culturale, illuminati solo dal bellissimo barocco leccese e da un diverso modo di manifestare la religiosità, soprattutto da parte del popolo, indirizzato in questo sia dai nuovi ordini religiosi e dai numerosi predicatori, che dal desiderio di esprimere con entusiasmo e maggiore visibilità una forte e sincera fede. È un periodo di grandi processioni, con fantastici paramenti scenografici, di riti liturgici collettivi seguiti da una folla immensa, di richieste di protezione a nuovi soggetti divini, santi e madonne. E spesso il popolo non si preoccupava più di tanto nel defenestrare i vecchi protettori cittadini. Mesagne godette di un periodo relativamente florido sino a quando, nel 1522, Carlo V non la vendette, abitanti compresi, al conte Alfonso Beltrano. Questo barone feudale fece conoscere a Mesagne una delle pagine più nere della sua lunga storia. Esoso oltre ogni dire, applicò dazi e gabelle e soppresse antichi privilegi goduti dall’Universitas. Chi era contrario, o non pagava o manifestava il proprio dissenso, era arrestato e, spesso, torturato nelle segrete del castello. Tra il 1440 e il 1540, la crescita di Mesagne si deve, quindi, al diverso clima politico e culturale dovuto agli Aragonesi, agli Orsini del Balzo, in particolare alla regina Maria d’Enghien. Questo sviluppo, che fu soprattutto commerciale, agricolo e artigianale, si arrestò per la miopia politica e la rapacità economica di spagnoli e baroni feudali. Fu nel 1539 che comparvero per la prima volta i Cappuccini a Mesagne, così come ci attestano Coco nella sua opera, I Francescani nel Salento e Martina da Francavilla, nella Cronaca dei Frati Minori Cappuccini di Puglia.

Altre notizie ricaviamo dai nostri scrittori patri, primo fra tutti il Mannarino, che quasi contemporaneamente riporta quanto avveniva nel paese. I Cappuccini occuparono un cenobio bizantino presente poco fuori del paese, sull’antica strada che portava a Lecce. Il luogo era strategico e il fabbricato dovette essere qualcosa di più di una chiesetta di campagna o di un delubro, perché sappiamo che c’erano alloggi, romitori abitati da monaci basiliani e la stessa chiesa di Santa Maria di Stigliano, esistente già nel 1300, dovette essere edificata dai basiliani e luogo di  culto greco.  È noto che nel Salento la cultura greco-bizantina era più diffusa di quella latino-romanza e il culto greco era diffuso anche a Mesagne, con presenza di monaci e preti greci.   A partire dalla metà del XV secolo, a causa della caduta di Costantinopoli e della fine dell’Impero Romano d’Oriente, del processo di occidentalizzazione delle culture periferiche messo in atto dagli Aragonesi e della lotta condotta dalla Chiesa di Roma contro ogni forma di religiosità che non fosse quella cattolica ortodossa, il clero ed il culto greci cominciarono a scomparire. La costruzione occupata dai cappuccini doveva essere, quindi, abbandonata da qualche tempo, anche se non da molto. Il primo nucleo cappuccino era comunque costituito. I frati furono certamente aiutati dalla popolazione e dall’Universitas, furono riforniti del necessario per vivere, vestirsi e svolgere le funzioni liturgiche. In cambio i frati predicarono nel paese, curarono le anime e svolsero un’importante opera di moderazione del lusso ostentato dai ricchi notabili, offensivo soprattutto in tempi di miseria. A tal proposito i Cappuccini predicarono in Mesagne delle vere regole di comportamento, a cui si attennero per primi loro stessi e che servirono a mitigare il lusso e a pacificare gli animi.  Fu così che il popolo, il clero e l’allora arciprete Lucantonio Resta, vollero costruire il convento, ormai necessario per l’aumento dei frati. Le spese furono ripartite tra l’Universitas di Mesagne e il futuro vescovo di Andria. Era l’anno 1552, come riporta il Mannarino nella sua Storia di Mesagne. Primo frate predicatore fu Antonio di Putignano.

Altri predicatori e frati di grande spessore umano e culturale hanno dimorato in questo convento, ritenuto uno dei più importanti della provincia monastica. Vi si tennero numerosi capitoli provinciali e fu centro di noviziato e di studio di primaria importanza nell’intera provincia monastica di Terra d’Otranto. Nel convento dei frati Cappuccini di Mesagne dimorò, morì e fu sepolto frate Giacomo da Molfetta, uno dei più importanti e famosi predicatori dell’ordine. L’Universitas volle dedicargli persino una statua, oggi scomparsa ma che per tradizione si crede sia quella che si vede nella nicchia destra, proprio sopra l’ingresso del santuario di Mater Domini. Nel percorrere le profondità della storia e scoprire di più su chi dimorò in questo convento, dobbiamo purtroppo riconoscere che non abbiamo molto. Ci vengono solo in parte in aiuto gli scrittori patri. Il problema è dovuto alla mancanza di notizie certe perché i Cappuccini erano un ordine monastico poverissimo e, perciò, non avevano “notamenti”, cioè registri, almeno sino al 1600, dal momento che non possedevano nulla. Inoltre la soppressione degli ordini monastici dopo l’unità d’Italia, ha disperso molti altri documenti. Il convento dei cappuccini di Mesagne possedeva molti libri, doveva comunque possedere delle platee ed inventari vari, Profilo, in Vie Piazze Vichi e Corti di Mesagne, ci dice che i cappuccini possedevano molti codici, libri manoscritti, a stampa e molti documenti scientifici. Non sappiamo nulla della loro fine dal momento che l’edificio ha subìto nel tempo varie modifiche e il materiale è stato sottoposto a vari saccheggi. Qualche volume è conservato nella Biblioteca Granafei, ma è poca cosa rispetto ai tanti che una tipica biblioteca cappuccina doveva contenere. Le maggiori notizie le desumiamo, quindi, dagli scrittori patri, in particolare dal Mannarino, dal Vinaccia, da padre Serafino Profilo, dal Mavaro, da Antonio Profilo. Che cosa ricaviamo, complessivamente dalle loro notizie, oltre a quello già detto?

Ricaviamo, per esempio, che il convento fu costruito dopo la venuta dei cappuccini, rispettivamente 1552 e 1539; che vi dimorarono uomini di una certa levatura umana, religiosa e culturale. Primo fra tutti Giacomo di Biancolino Paniscotti, conosciuto come frate Giacomo da Molfetta, famoso predicatore, insigne teologo, autore di molti scritti, provinciale dell’ordine ed amico personale di quel frate Bernardino Ochino da Siena che, prima generale dei Cappuccini, passò, non senza scandalo, con i riformati, in particolare con i calvinisti, per poi ritornare con i cattolici e finire assassinato. Dimorò alcuni anni nel nostro convento e qui morì e fu sepolto. Fu amico di Lucantonio Resta e si adoperò molto per fondare un ospedale nella nostra Mesagne. Il marchese di Francavilla ed Oria, Bernardo Bonifacio, che aveva abbracciato la riforma luterana, attentò, senza risultato alla sua vita. Altro importante uomo che dimorò nel convento fu frate Agostino da Mesagne, ministro provinciale cappuccino nel 1546. I Cappuccini si distinsero per povertà e rettitudine, e furono ben voluti dal popolo, non meno povero dei frati, per la condanna veemente e continua che i frati manifestarono verso lo smodato ed offensivo lusso dei baroni e dei nobili locali. Non smettevano mai di indicare al popolo e al clero di Mesagne, Latiano e Torre S.Susanna, la via della pietà cristiana e l’alto valore della solidarietà. Puntuali e dettagliate notizie si leggono in Tranquillino Cavallo, I frati cappuccini a Mesagne. Potete, ad esempio, trovare notizie su quello che accadde al convento, che nei periodi di maggiore splendore arrivò ad ospitare anche 30 frati ma anche laici, dopo la soppressione degli ordini monastici. Il fabbricato del convento fu riadattato ed usato come caserma delle Guardie Doganali di Brindisi; successivamente, per la precisione a partire dal 1936, fu riutilizzato come carcere mandamentale, dopo lunghi anni di lavori per adeguarlo a tale esigenza. In quanto al patrimonio liturgico c’è da dire che qualcosa ancora si conserva in alcune chiese di Mesagne, ma moltissimo è andato perduto.

Mesagne ha subìto nel corso di questo secolo, e in particolare nella seconda metà, un forte impoverimento delle strutture urbane, in contrasto con l’aumento di istruzione e una maggiore richiesta di acculturazione, soprattutto tecnologica. Durante gli anni del cosiddetto boom economico (anni Sessanta e primi anni Settanta) il territorio, un tempo periferia e campagna, parte del famoso rištretto cittadino, è stato prepotentemente violentato e distrutto, senza nessuna logica e, peggio ancora, senza regole generali. Quegli anni di abusivismo edilizio provocarono una urbanizzazione selvaggia, frutto di speculazione economica e politica. Mentre Mesagne cambiava rapidamente volto, le strutture sociali e culturali pagavano un pesante contributo con la perdita dell’identità culturale, delle tradizioni e dello stesso veicolo di trasmissione della cultura locale, del nostro essere mesagnesi, il dialetto. Questa nostra microstoria, parte di una storia più grande, non è stata del tutto studiata e solo di rado si registra qualche articolo o saggio. Da qualche anno a Mesagne si registra una interessante inversione di tendenza e una maggiore attenzione al territorio. Non è ancora l’optimum sperato ma intanto si sta trasformando il volto urbano di Mesagne ed anche se ancora ci sono problemi, almeno la strada è stata tracciata e un percorso non breve è stato compiuto. Il restauro dell’ex convento dei frati Cappuccini è stato una tappa importante di questo percorso per una serie di considerazioni e per le prospettive che potrebbero derivarne. Il recupero e la fruizione sono altra cosa e non sembra, ad oggi, che ci siano valide proposte. Il convento ebbe un ruolo notevole nella vita della nostra città e frati della levatura di Giacomo da Molfetta e Agostino da Mesagne furono protagonisti della vita religiosa e civile non solo della nostra comunità. L’incuria del tempo e la miopia degli uomini hanno stravolto quasi del tutto la leggibilità del luogo. Di tutto ciò, però, non ci si può lagnare oltre, nel senso che gli stessi cappuccini, e questo avviene in ogni luogo e in ogni tempo, hanno a loro volta stravolto un importante insediamento bizantino, nel quale era praticato il rito greco e che, presumibilmente, dovette accogliere molti monaci basiliani. Più semplicemente pensiamo che il restauro possa permettere un recupero del complesso e una fruizione del tutto nuovi del bene immobile.

I Cappuccini raccolsero molti libri e molte opere d’arte non solo religiosi e, quindi, il convento ebbe anche una valenza culturale. Non sarebbe sbagliato, oltre alla destinazione prevista di centro di accoglienza per i pellegrini che verranno durante l’anno del Giubileo e dopo tale anno, destinare la struttura, tutta o parte di essa, ad altri importanti compiti. L’edificio potrebbe egregiamente adempiere alla funzione di archivio dei fondi librari e documentari preunitari presenti a Mesagne, dall’archivio storico comunale a quello capitolare. Un luogo elettivo, insomma, della cultura storica, sociale e religiosa, anche di rito greco, della città di Mesagne. Se poi si aggiungessero anche i beni culturali non librari, diverrebbe un centro culturale di primaria importanza da dotare, naturalmente, di strumentazione e collegamenti adeguati, nonché di apposite risorse umane, anche private. Oculati progetti e una seria programmazione culturale completerebbero il quadro, restituendo lustro all’ex convento. Ogni altra destinazione sarebbe inopportuna e, a lungo andare, perfino dannosa per la collettività e la sua crescita culturale e civile. Dopo un ciclo di restauri e recuperi di luoghi sacri e civili, che è giusto e doveroso continuare, è ormai tempo di puntare alla fruizione dei beni recuperati, puntando all’uomo e alla sua cultura, che va ben oltre le pietre e agli interessi di parte.

Marcello Ignone