Gli affreschi della Masseria Notarpanaro

Interessanti rinvenimenti artistici nelle campagne mesagnesi

Diciamolo pure. Il panorama agricolo delle nostre campagne è davvero bello, oseremmo dire quasi incantato, da mozzare il fiato. A dirlo non siamo solo noi che, nati in questa calda terra, l’amiamo con tutto il cuore ma, soprattutto, i tanti turisti che ogni anno decidono di trascorrere le proprie ferie nel Salento. Loro, forse più di tanta altra gente che dice di conoscere bene il territorio in cui vivono, sanno che in queste contrade oltre ad immergersi in una meravigliosa natura possono ammirare “la valle incantata” dei beni culturali che a volte affiorano dalle viscere della terra oppure sono lì in bella mostra a sfidare le intemperie. E così per secoli. Infatti, il patrimonio agrario salentino è ricco di testimonianze artistiche-culturali che, il più delle volte, vengono occultate, per vari motivi, all’occhio umano. Fin quando l’inaspettata caduta di un muro, di un tetto, di un pezzo di intonaco non porti alla scoperta di alcuni gioielli storici rimasti nascosti per diversi secoli. Ed è proprio quello che è accaduto in una vecchia masseria dove, sotto una coltre di calce, detriti e rovi sono apparse, come d’incanto, delle pitture murali che, per la loro bellezza, impongono una ricerca storico-iconografica prima ed un eventuale restauro conservativo dopo. Intanto per gli studiosi è imperativo approfondire gli studi che possano permettere la ricostruzione del luogo con le sue funzioni e le sue frequentazioni. I resti sono stati rinvenuti nella cinquecentesca masseria Notar Panaro, in agro di Mesagne, nel cui perimetro vi è l’antica chiesetta rupestre.

La masseria si caratterizza per la tipologia di costruzione databile alla prima metà del Cinquecento quando il territorio salentino era ricco di questi centri di attività agricola che ospitavano decine di famiglie. Per loro venivano costruite, o adattate in ambienti preesistenti, delle cappelle per soddisfare le esigenze dell’anima. Vale la pena ricordare che a poche centinaia di metri si trova il tempietto paleocristiano di San Miserino, con la presenza di affreschi bizantini. La masseria, il cui toponimo originale era Pezza della Cipolla, nel 1625 secolo fu di proprietà del notaio Antonio Panaro, dal quale prende il nome. Del 1668 è un atto notarile in cui il notaio Panaro dichiara, tra l’altro, i lavori eseguiti nella masseria di sua proprietà per renderla più funzionale. Infatti fece costruire una torre, per ospitare nei periodi estivi lui e la sua famiglia, e ristrutturò la chiesetta attigua l’immobile gentilizio arricchendola con la committenza di una tela pittorica. Nell’atto del notaio Riccio Pietro conservato presso l’archivio di Stato di Brindisi, leggiamo: « …una chiesa à contro di detto Giardino dalla parte dello gerocco, con un quadro grande dell’Immacolata Concezione fatto da Pittore Eccellente con due immagini a canto, una di San Giovanni Battista e l’altro di Sant’Antonio di Padova, speso in fabrico immurando giardino, fabrico di chiesa e vigna, calce, quadrelli, canne, imbrici, caprioli e lamie per la chiesa altri ducati 140». Nella chiesetta vi era, fino a qualche anno fa, un bassorilievo in marmo raffigurante una croce il quale però è stato trafugato da ignoti.

Vediamo nel dettaglio la descrizione che ci viene fornita in altro documento, sempre per mano del notar Riccio Pietro, datato come il precedente 1668, avente per oggetto: «Declaratio benefici Antonij Panar» alla carta 148v. si legge:

«Per li diversi miglioramenti fatti in detti suoi territori cioè docati 24 pagati per lo prezzo delle due quarte parti della torre di basso della massaria dotale comprata da Lucretia, et Agata di Maya, e Cesare di Maya per istrumento rogato per mano di detto quondam notar Francesco Ronzino. E perché la sudetta torre di basso la ritrovò scoverta senza imbrici, e tutta piena di herbe, che minacciava rovina per le molte acque, che per molti anni hanno pigliato, fu fatto resarcire esso Antonio, e fattovi  fabricare sopra una sala, con due camere, due granieri, e scala di pezzo di carparo, che si saglie di basso dentro detta torre, e speso tanto per pezzo di quadrelli di tufo, e carparo, e di calce, di catene, di caprioli, canne, et imbrici per coprirle. [….]

E come, che non ritrovò, se non una corte sola e senza capanne, né case fece alzare la detta corte, e ve ne fece due altre, una grande all’oriente fabricata con calce alta palmi cinque, si fece fabricare le capande, che hoggi si vedono, e con due case et altri membri coverte di catene, caprioli, canne et imbrici. [….]

E perché non vi era giradino alcuno vi fece dalla parte di tramontana di dette capanne un giardino e vigna ammurati di tre quartulli in circa di terre, fabricato il pariete di calce, et alti due palmi. E più come  hoggi si vede con diversi arbori fruttiferi, e con un aparo della parte di tramontana, et una chiesa à contro di detto giardino dalla parte del Gerocco, con uno quadro grande dell’Immacolata Concetione fatto da pittore eccellente con due immagini à canto, una di S. Giovanni Battista, e l’altro di S.Antonio di Padova, speso in far immurando giardino, fabrica di chiesa, e vigna, calce, quatrelli, canne, imbrici, caprioli, e canne per la chiesa altri ducati 140.

Dalla lettura di detto documento si evince chiaramente che le modifiche apportate, così come noi oggi le vediamo, siano state effettuate successivamente al 1625, anno in cui la detta masseria fu acquistata dal notar Antonio Panaro».

Tuttavia, ritornando alla descrizione del sito rupestre,  si pensa, pur non avendo ancora riscontrato a conferma nessun documento archivistico, che nella chiesa fosse già esistente la colonna tufacea affrescata contenete il tabernacolo. L’opera fu realizzata inizialmente in materiale povero, con un capitello appena accennato e solo successivamente abbellita con la realizzazione di un affresco in cui fu adoperata una tecnica di buon livello artistico. Il lavoro venne eseguito con due soli passaggi di malta e la tecnica utilizzata dall’artista fu quella dell’incisione dell’intonaco prima della pitturazione dei soggetti sacri, oggi divenuti ormai delle labili tracce pittoriche da cui parte la ricostruzione iconografica.

Nella parte centrale della colonna è distinguibile una figura angelica, con capelli dorati, dorso nudo e pettorali ben visibili, vestita con una tunica di color grigio e drappo rosso. Risulta compromessa, e poco comprensibile, la visibilità del volto. Alla sinistra del soggetto s’intravede la mezza ruota di un carro mentre sulla destra vi è un piedistallo, elementi di martirio che potrebbero, forse, ricondurre l’attribuzione del soggetto a quella di un martire. Sul lato stretto della colonna è ancora visibile l’immagine di un monaco, con cappuccio in testa, barba bianca, e tra le mani un bastone trasversalmente al corpo. I piedi sono nudi e privi di sandali. Tutti elementi iconografici che riconduco all’attribuzione del soggetto a San Francesco di Paola. Ambedue le figure sono delimitate da una cornice di colore rosso.

Pitture murali che necessiterebbero di un restauro conservativo al quale tutti sono chiamati ad offrire il proprio contributo, dal proprietario al Comune di Mesagne, dalla regione Puglia alla Soprintendenza ai Beni Storici di Bari. La conservazione di questo patrimonio artistico passa anche attraverso la volontà dei singoli, dei proprietari, che con piccoli gesti e soprattutto testimonianza possono contribuire a conservare questi beni storici preservandoli dall’incuria e vandalismo, anziché vederle scomparire col passar del tempo. Il recupero e la fruibilità permetterebbero di inseririli nel ben più ampio mosaico storico del territorio salentino.

Tranquillino Cavallo