Il riscatto dei beni culturali passa anche attraverso la solidarietà dei cittadini

L’ASSUNTA DI SAVERIO LILLO

«Intelligenza, mano sicura e pronto intuito» sono le peculiari caratteristiche che De Bernart riscontra nel pittore salentino Francesco Saverio Lillo, nato a Ruffano in provincia di Lecce, autore di numerose testimonianze pittoriche disseminate un po’ ovunque nel Salento. Per la maggior parte dei casi si tratta di tele con tematiche religiose conservate presso le cattedrali e chiese che divengono così pinacoteche sociali di eccellente valore storico-culturale. Mesagne, naturalmente, non si sottrae a tale tendenza artistica annoverando tra il suo patrimonio artistico tele del pittore leccese. La prima col soggetto della Natività è conservata nella chiesa della SS. Annunziata la seconda rappresentante l’Assunzione è conservata nella chiesa Matrice.

Soggetto di questo nostro scritto è la seconda tela, realizzata nel 1772, da alcuni mesi restaurata e consegnata alla collettività in uno splendore artistico del tutto nuovo. Tale intervento conservativo si è potuto effettuare grazie alla donazione economica che una coppia di sposi ha fatto al parroco don Angelo Argentiero, custode delle opere d’arte della Collegiata, all’atto del proprio matrimonio. Gli sposini, evidentemente amanti dell’arte e della cultura, hanno donato parte dei loro regali matrimoniali per il restauro di quella che è una delle tele più belle ed interessanti storicamente dell’intero patrimonio artistico cittadino.

Del soggetto rappresentato nel quadro si sono già interessati nel passato due esimi studiosi. Il giornalista Angelo Sconosciuto e il critico d’arte Massimo Guastella, i quali hanno fatto una ricostruzione iconografica non priva di disquisizioni, sicuramente interessanti, che noi vi proponiamo in pochi ma essenziali passaggi epigrafici. Tralasciamo la scuola artistica presso la quale il pittore ruffanese si è formato, e della quale ne parla ampliamente Angelo Sconosciuto ricordando la frequentazione delle botteghe del Coppola, del Catalano, del Malinconico, dell’Elmo, del Tiso, e solo per ultimo in quella del Riccio più giovane del Lillo ma di bravura superiore, addentriamoci nei meandri iconografici attraverso la ricostruzione fatta dai due storici.

«In questa tela – ricorda Angelo Sconosciuto – il Lillo raffigura lo smarrimento tutto umano, degli Apostoli per la Morte della Vergine Maria e la festa, nel cielo, per l’Assunzione della Madonna. La «saldature» tra i due momenti, l’uno tutto terreno, l’altro interamente trascendente, può essere costituita dallo sguardo di alcuni apostoli, rivolto verso il cielo, dove la Madonna siede su una nuvola circondata da angeli in festa. Due piani di azione, dunque, distinti ma non separati, contraddistinguono l’opera, il cui soggetto iconografico, rarissimo nell’antichità, pare trovare qualche considerazione tra l’arte sacra della seconda metà del secolo XVIII. In verità, la struttura dell’opera rievoca insistentemente alcune stampe coeve e, a nostro giudizio, pone, benché velatamente, il problema della committenza, a cui il pittore doveva necessariamente sottostare, in ultima analisi per garantirsi il sostentamento. Le pieghe delle stoffe, però, la ghirlanda dell’angelo in basso, le proporzioni e i contorni delicati della figura della Vergine, sembrano riscattare il «mediocre» Lillo e spigare i caratteri dello stile».

Per il critico d’arte Massimo Guastella il soggetto della tela del Lillo «ripropone in chiave tipicamente usuali gli schemi compositivi del pittore, peraltro che si ritrovano con alcune varianti nelle chiese di Poggiardo e Presicce». Inoltre la postura della modella di tale quadro si ritrova fedelmente in un’altra opera conservata nella chiesa dell’Immacolata di Parabita che il critico ritiene una riproposizione del dipinto mesagnese.

«La Vergine che ascende al cielo – osserva Guastella – è attorniata da un nugolo di festanti angelioletti in volo tra le nuvole; in basso figurano gli apostoli distinti per gruppi: alcuni in atteggiamento devoto volgono lo sguardo verso Maria; altri stupiti osservano il sepolcro vuoto: altri discutono l’evento miracoloso».

Tuttavia l’altare dedicato all’Assunzione della Beta Vergine Maria era già presente nella Collegiata già nei primi decenni del XVIII secolo ed apparteneva al Sagro Monte della Pietà. Infatti in alcuni documenti di archivio del 1744 lo si trova menzionato. Al suo interno era presente una tela raffigurante «Maria Assunta in cielo e gli apostoli», in parte copia di una tela che il Coppola realizzo nel 1645 per la cattedrale di Gallipoli, che il tempo e l’incuria umana hanno contribuito a far scomparire. Forse il Capitolo, anche se fino ad ora nessun atto di committenza è stato rilevato negli archivi, decise di realizzare una nuova tela che potesse occupare il posto di quella andata perduta affidando l’incarico ad un pittore di rinomata fama, quale appunto il Lillo di Ruffano. Solo ipotesi che solo ulteriori ricerche archivistiche potrebbero sciogliere.

Comunque tale tela, restaurata negli anni Ottanta dal pittore mesagnese Raffaele Murra, non è rimasta indenne agli agenti atmosferici che l’anno ulteriormente minata decretando vano il primo intervento di restauro. A questo punto interviene la giovane coppia di sposi che si assume l’onere del restauro affidando nelle mani dei tecnici dell’Istes di Lecce la tela pittorica. Nel laboratorio di restauro è fatto un immediato check up dalla cui analisi si evince che il dipinto era già stato foderato con una tela fitta, sottile e colla vinilica, forse del precedente restauro del Murra. Tuttavia la superficie pittorica risultava, molto ridipinta, e quindi non era in condizioni adatte per sopportare la pulitura a causa della scarsa aderenza degli strati pittorici al supporto originale.

Nella relazione della restauratrice, Francesca Melodia, leggiamo: «Si è concordato con la direzione dei lavori (della Soprintendenza ai beni artistici della Puglia, ndr) di effettuare in primo luogo le operazioni conservative ed è stata eseguita la velinatura, con l’uso di carta giapponese e colletta. In seguito l’opera è stata staccata dal vecchio telaio, fisso ed inadeguato, e si è proceduto alla rimozione della fodera ed alla ripulitura del verso a mezzo bisturi. Fissando il dipinto al piano di lavoro è stato effettuato il consolidamento del supporto, con colletta applicata a pennello. Nel frattempo è stata preparata la tela da rifodero, pensionata e apprettata sul telaio interinale. La foderatura è stata eseguita con colla pasta. Dopo la rimozione della velina, accertata la buona riuscita dell’intervento, il dipinto è stato fissato sul nuovo telaio ligneo munito di traverse ed angoli estendibili. La pulitura del colore è stata effettuata in due fasi, la prima con l’uso del diluente nitro, per le ridipinture ad olio e la seconda con acqua ed ammoniaca (6:4) per la pulitura da sporco e vecchie vernici rinvenute al di sotto delle ridipinture e delle stuccature. La pulitura è stata ultimata a bisturi sia per rimuovere i residui di sporco sia per le stuccature sovrapposte alla pellicola pittorica. Dopo aver atteso qualche tempo è stata eseguita la verniciatura a pennello, con mastice diluito in essenza di trementina ed in seguito la stuccatura delle lacune con stucco a base di gesso e colla».

La fase conclusiva del restauro della preziosa tela è stata la colorazione delle stuccature effettuata con colori a tempera e una successiva verniciatura a pennello dell’intera superficie del quadro. L’integrazione pittorica è stata effettuata con colori a vernice mentre per la verniciatura finale la restauratrice si è avvalsa del Retoucher nebulizzato. Così restaurata la tela dell’Assunzione è ritornata nel suo altare pronta per essere ammirata da quanti, fedeli e amanti dell’arte, hanno plaudito l’iniziativa della giovane coppia di sposi che hanno saputo rinunciare ad una parte dei regali matrimoniali per permettere alla comunità di riappropriarsi di un bene destinato, altrimenti, a rimanere ancora per anni senza un restauro conservativo che potesse proteggere l’opera artistica dall’incuria del tempo. Da qui potrebbe scaturire un invito a quanti, privati cittadini o soggetti pubblici, amanti dei beni culturali a muoversi fattivamente per promuovere iniziative che possano conservarli, magari unendosi in una cordata patrimoniale, che avrebbe lo scopo di riconsegnare all’intera collettività mesagnese quelle tessere artistiche altrimenti destinate a perdersi nell’oblio del tempo. Il tutto naturalmente nella massima riservatezza, senza un ritorno pubblicitario, dimostrando con i fatti l’amore per la cultura e per la propria storia, nelle sue varianti artistiche-architettoniche. Cose un po’ utopistiche di questi tempi oppure una sfida a cui sarà difficile sottrarsi. «Ai posteri ardua sentenza».

Tranquillino Cavallo