La Chiesa Matrice
Piazza Orsini Del Balzo
L’architetto Francesco Capodieci, sacerdote, nacque in Mesagne da una coppia di umili contadini, Zuccaro Capodieci e Cecilia Verardi, il 28 novembre 1605 e fu battezzato dal reverendo don Francesco Graziano [1]; il padre era convolato a nozze alla fine del Cinquecento, con la giovanissima Cecilia di appena quattordici anni. Dall’unione nacquero numerosi figli, come attesta il catasto del 1626, [2] e papà Zuccaro dovette fare i salti mortali per sfamarli tutti e per far loro condurre un’esistenza sicuramente non agiata ma dignitosa. Possedeva pochi ettari di terreno coltivati a vite e uliveti, utilizzando buona parte dei terreni per la semina e per assicurarsi le provviste degli altri generi alimentari quali i legumi e gli gli ortaggi. Abitava in una casa di sua proprietà situata nel Borgo Nuovo di recente formazione.
A rendergli meno amara l’esistenza e a ripagarlo delle sue fatiche quotidiane fu certamente il figlio Francesco, il nostro architetto sacerdote che dovette da subito mostrarsi particolarmente incline agli studi della matematica e della geometria, e rivelò una sincera vocazione religiosa che lo portò a prendere gli ordini sacri e a condurre un’esistenza irreprensibile e rispettosa dell’abito talare. Fu infatti un eccellente sacerdote e seppe conquistarsi il rispetto di tutto il clero mesagnese che gli affidò incarichi delicati e di prestigio. Convinto della sua missione sacerdotale, si prodigò a favore del prossimo e mantenne fino all’ultimo un atteggiamento umile e sereno. Ignoriamo, purtroppo, dove egli abbia studiato e come sia riuscito a diventare architetto. L’ipotesi più probabile è che si fosse trasferito per alcuni anni a Napoli o a Roma, come facevano quasi tutti gli aspiranti sacerdoti mesagnesi, e avesse conseguito un titolo accademico tale da giustificare il ruolo di architetto che non avrebbe potuto ottenere restando marginalizzato nella sua cittadina d’origine o frequentando la sia pur dinamica realtà di provincia che in Lecce aveva il suo punto di riferimento obbligato, essendo dopo la capitale uno dei centri più prestigiosi del Viceregno spagnolo.
Francesco Capodieci fu un sacerdote particolarmente colto, divoratore di libri, conversatore brillante ed apprezzato dai suoi contemporanei per le sue qualità di umanista, di letterato e di uomo di scienza. I documenti d’archivio rintracciati testimoniano delle sue relazioni interpersonali e dei suoi rapporti di amicizia con uomini di prestigio quali furono i cardinali Mario Albricci Farnese e Scipione Costaguti, gli arcivescovi di Brindisi Dionisio Odriscol, Francesco de Estrada, i nobili feudatari Guarini di Poggiardo, Belprato di San Vito degli Schiavi, Albricci e De Angelis di Mesagne e di diverse altre città. Tutti costoro si servirono della sua perizia di architetto e lo impegnarono nella ideazione di progetti di cappelle, di chiese, di complessi monumentali di varia natura e perfino di fortificazioni.
I documenti provano senza ombra di dubbio che Francesco Capodieci fu una delle personalità più interessanti nell’ambito dell’architettura barocca salentina del Seicento e a lui furono affidati prestigiosi incarichi professionali che riguardarono la ristrutturazione della cattedrale di Brindisi, i lavori di trasformazione del palazzo ducale di Poggiardo, la realizzazione della cinta muraria di San Vito degli Schiavi, oggi San Vito dei Normanni, l’adeguamento al gusto barocco della chiesa matrice di Carovigno, la progettazione in Mesagne della nuova chiesa collegiata, della chiesa di S. Anna, dell’antistante piazza, la ristrutturazione del palazzo baronale, la progettazione di nuovi conventi per conto dei De Angelis in altre città del Salento, la progettazione di oratori, di sacrestie, di campanili. Fu un architetto puro ( al contrario dei coevi leccesi Giuseppe Zimbalo e Giuseppe Cino per i quali valse l’appellativo prima di mastri di fabbriche e poi di architetti, per essere stati anche e soprattutto scultori) e si ispirò per le sue opere al Vignola, al Serlio, al Palladio, come egli stesso ebbe a dichiarare nel 1649 all’arcivescovo di Brindisi Dionisio Odriscol, quando elaborò e presentò il progetto della nuova chiesa collegiata di Mesagne: uno degli esempi meglio riusciti nel Salento della compenetrazione di architettura e scultura. [3]
Il documento rivela il fondamentale ruolo avuto da monsignor Mario Albricci Farnese nella formazione di architetto del Capodieci ed è sicuramente in quel rapporto di amicizia che si deve individuare l’iniziale percorso seguito dal giovane architetto mesagnese per affermarsi e per farsi un nome tra i suoi contemporanei e tra i committenti particolarmente esigenti con cui ebbe relazioni professionali.
Dale opere di Sebastiano Serlio (1475-1554) [4] il nostro architetto ricavò la conoscenza degli ordini architettonici, l’uso di un lessico particolarmente forbito, l’interesse per i portali a bugnato presenti in Mesagne sulla facciata del palazzo baronale e sul frontespizio di edifici seicenteschi esistenti nel Borgo Nuovo. Da Andrea Palladio (1508-1580) l’attenzione alle proporzioni armoniche e ai frontoni arricchiti da elementi scutorei, come appunto ritroviamo sulla collegiata di Mesagne, e l’uso dei portici per ingentilire le massicce membrature di edifici sorti per scopi militari, come al castello di Mesagne, trasformato intorno al 1660 nella residenza stabile dei feudatari di casa De Angelis. Da Jacopo Barozzi, detto il Vignola (1507-1573), l’interesse per la compenetrazione della pianta centrale con quella longitudinale, offerta come esempio dalla chiesa del Gesù in Roma, dal nostro messa in opera nella collegiata di Mesagne; l’uso di sobrie decorazioni a rilievo da applicarsi sulle superfici murarie esterne, senza lasciarsi trasportare dall’enfasi per i ghirigori così massicciamente presenti sui palazzi di Lecce.
Se si mettono a confronto le realizzazioni architettoniche seicentesche di Lecce e di Mesagne, si colgono a vista d’occhio le sostanziali differenze esistenti tra i due centri. Mentre nel capoluogo salentino si applicarono i mastri muratori architetti, sicuramente incisivi sul piano delle realizzazioni e padroni indiscussi dell’arte di lavorare la pietra e di piegarla ai capricciosi dettati delle più sfrenate fantasie barocche, a Mesagne questo non è possibile riscontrarlo quasi in nessun luogo proprio per l’influenza esercitata da Francesco Capodieci su tutto il tessuto urbano e sulle scatole murarie da lui progettate. Con l’architetto Capodieci è la ragione e non la fantasia degli artisti barocchi leccesi a dominare la scena. La sua visione dell’architettura è teoretica e di matrice tardo cinquecentesca accostabile esclusivamente al primo barocco di impronta romana che trova ben pochi riflessi nel Salento.
Gli splendidi portali delle sue chiese risentono fortemente degli influssi degli stilemi del manierismo e si discostano decisamente dalla tradizione leccese proprio per la diversità d’impostazione e di visione, a tal punto da far credere a più di qualcuno che fossero appartenuti in precedenza a chiese più antiche e applicate in un secondo momento sulle facciate delle chiese barocche mesagnesi della collegiata, 1650, e di Santa Maria in Betlhem, 1663. Il nostro architetto si rifà decisamente ai trattatisti del secolo precedente e prende a modello le loro realizzazioni coniugandole ed armonizzandole in una visione personale dell’opera architettonica che tenga conto della realtà differente dei luoghi e delle esigenze e disponibilità finanziarie dei committenti.
[1] Archivio Capitolare di Mesagne, Libro dei Battesimi, volume III, anni 1603-1620, p.89v.
[2] “Zuccaro Capidece, anni 55, foritano (Cecilia Verardo, moglia, anni 42; Pompeo Capidece, anni 27; Marc’Antonio, anni 12; Filippo, anni 8; Beatrice, anni 25; Geronima, anni 6; Brigida, anni 4), con giuramento disse possedere in loco detto gli Longi tomola tre e mezzo di terre seminatorie con arbori undeci d’olive dentro, extimato ducati settanta; item possede in loco di Turricella tomola cinque di terre”; in BAD, fondo catasti antichi, CATASTO ANTICO DI MESAGNE – ANNI 1626-1627, p.446r/v.
[3] “ne ho fatto della detta chiesa la sua iconologia per quanto mi insegnò monsignor d. Mario Alberici Farnese, e la prospettiva della parte di dentro come anco del frontespizio, con il campanile attaccato dalla parte sinistra di detta chiesa rispetto a sé, con tutte le sue particolari membra necessarie pertinenti ad una buona e perfetta fabrica, per quanto c’insegna Iacomo Basizio da Vignola, Sebastiano Serglio et Andrea Palladio”; in Archivio della Curia Arcivescovile di Brindisi, fondo Clero e chiese di Mesagne, cartella 18.
[4] N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, Dizionario di architettura, Torino 1992, p. 602